Allegoria dell’Ermafrodito Floreale di Luciano Di Gregorio

L’opera di Luciano Di Gregorio, dal titolo “Allegoria dell’Ermafrodito Floreale” e appartenente al ciclo Iconoclastica, si presenta come un’immagine di grande forza simbolica e raffinata costruzione estetica. L’artista gioca consapevolmente con i codici visivi della ritrattistica rinascimentale e barocca, innestandoli in una dimensione concettuale contemporanea, fatta di tensioni identitarie, sovversione dei generi e ricerca di un nuovo canone iconografico. La figura centrale, rappresentata con un’impostazione frontale e ieratica, richiama la solennità delle madonne quattrocentesche e delle allegorie manieriste, ma si carica di un’intensità perturbante. Il corpo, reso con straordinaria cura pittorica nonostante la natura fotografica dell’opera, si staglia sul fondo scuro in un contrasto che esalta la luminosità della pelle e la preziosità del costume. La nudità del capo, privo di capelli, trasforma il volto in un terreno di assoluta neutralità: né maschile né femminile, ma sospeso in una condizione liminale che rompe le categorie binarie. È qui che l’artista innesta il concetto di ermafroditismo, non come mero dato biologico, ma come allegoria di un’identità fluida, fertile e trasformativa. L’elemento floreale, che dà titolo all’opera, non è semplice ornamento decorativo: le rose che sbocciano sul capo, come un’aureola carnale, e quelle che ricamano le maniche e la veste, suggeriscono un’idea di rigenerazione e di continuità vitale. La figura gravida, con le mani posate sul ventre, diventa simbolo di creazione e di metamorfosi. Non si tratta soltanto di maternità, ma di una gestazione simbolica: il grembo come luogo di nascita di un nuovo paradigma identitario e culturale. L’ermafrodito floreale non partorisce un figlio, ma un futuro possibile, in cui le differenze non vengono cancellate ma integrate, come petali di una stessa corolla. La resa cromatica intensifica la tensione simbolica: i toni caldi e profondi, tra il rosso delle rose e l’oro bruno della veste, evocano insieme sensualità e sacralità, passione e decoro liturgico. È come se l’artista avesse voluto mettere in scena una “sacra icona pagana”, in cui l’aura della religione si fonde con la forza della natura e con la corporeità senza filtri. La preziosità degli ornamenti al collo e alle orecchie rimanda a un’iconografia regale, ma il volto fermo e diretto, quasi ascetico, dissolve ogni compiacimento estetico e ci obbliga a confrontarci con lo sguardo enigmatico della figura. Dal punto di vista concettuale, l’opera si inserisce pienamente nel percorso Iconoclastica: essa rompe gli idoli, non li distrugge, ma li reinventa. Qui l’icona sacra della Madonna gravida viene smontata e ricomposta in una figura ibrida, che non appartiene più a una devozione religiosa ma a una nuova mitologia della contemporaneità. L’iconoclastia, dunque, non è negazione, bensì trasfigurazione: l’artista non elimina l’aura, la sposta altrove, la conferisce a un corpo “altro”, liminale, che si fa veicolo di un messaggio radicalmente inclusivo. In definitiva, “Allegoria dell’Ermafrodito Floreale” si configura come una potente meditazione sulla possibilità di trascendere i limiti imposti dal genere, dalla tradizione e dalla storia dell’arte, per approdare a una visione sincretica, fertile e poetica. È un’immagine che seduce e inquieta, che richiama la classicità e al tempo stesso la sovverte, che offre allo spettatore non un modello da imitare ma un enigma da abitare. Dialogo con i Primitivi Fiamminghi La prima suggestione che l’opera evoca è quella dei primitivi fiamminghi, in particolare Jan van Eyck. La cura minuziosa dei dettagli decorativi, la resa quasi tattile dei tessuti, la lucentezza vellutata delle superfici sono tratti che richiamano capolavori come l’“Arnolfini Portrait”. Anche lì la maternità (o la sua allusione) è resa attraverso un ventre prominente, simbolo di fertilità e continuità. Di Gregorio sembra raccogliere questa eredità e piegarla a un discorso più complesso: non più la donna borghese come garante della discendenza, ma un soggetto ibrido, ermafrodito, che destabilizza la funzione sociale del corpo femminile e ne propone una lettura più universale, quasi cosmica. ⸻ Confronto con Caravaggio Il rapporto con Caravaggio si coglie soprattutto nell’uso del chiaroscuro. Lo sfondo scurissimo, da cui emerge la figura come in una rivelazione, è una scelta che richiama la teatralità del Seicento. Tuttavia, laddove Caravaggio metteva in scena la drammaticità dell’esperienza religiosa o umana con gesti dinamici e tensioni corporee, Di Gregorio opta per un’immobilità ieratica. È un realismo che si fa icona, dove la luce non svela la crudezza della carne, ma la trasfigura in presenza sacrale. Eco dei Preraffaelliti L’ornamento floreale e la dimensione simbolica riportano invece ai Preraffaelliti, che nell’Ottocento tornarono a una pittura densa di allegorie, intrisa di natura e poesia. L’uso della rosa come emblema di rigenerazione e sensualità è tipicamente preraffaellita. Ma Di Gregorio non indulge nella grazia malinconica di Rossetti o Millais: il suo floreale è più severo, quasi un’aureola laica, che sottolinea la forza ieratica della figura. Eredità Rinascimentale e Iconoclastia Sul piano iconografico, non si può non pensare alle Madonne rinascimentali, in particolare quelle di Piero della Francesca o di Leonardo, dove la maternità è al tempo stesso evento terreno e simbolo universale. Qui l’artista cita quell’archetipo, ma lo trasforma radicalmente: la maternità non è garantita da una figura femminile tradizionale, bensì da un corpo ermafrodito che si appropria dell’aura mariana per restituirla al nostro tempo. È qui che si manifesta l’iconoclastia di Di Gregorio: smonta il codice, lo rielabora e ne produce un mito nuovo. Dimensione Contemporanea Infine, l’opera si colloca nel dibattito contemporaneo sulle identità fluide e sulla rappresentazione del corpo. L’ermafrodito floreale diventa il simbolo di un’umanità che non ha più bisogno di scegliere tra maschile e femminile, tra sacro e profano, tra natura e cultura. In questo senso, Di Gregorio riprende la tradizione iconografica occidentale per portarla verso una nuova mitologia inclusiva, che accoglie differenza e molteplicità come principi fondativi. 👉 In sintesi, l’“Allegoria dell’Ermafrodito Floreale” si muove tra Van Eyck e i Preraffaelliti, tra Caravaggio e Piero della Francesca, raccogliendo frammenti della memoria artistica per riorganizzarli in un’immagine radicalmente nuova. L’opera è un palinsesto visivo, in cui la tradizione non viene cancellata, ma stratificata e trasformata in chiave iconoclastica e contemporanea. Lettura Psicanalitica e Archetipica L’Androgino come Archetipo (Jung) Carl Gustav Jung individua nell’androgino una delle figure archetipiche

Addio ad Angelo Colangelo: L’Uso Dell’Arte Contro La Violenza

Angelo Colangelo nacque nel 1927 a Penne, un comune situato nella provincia di Pescara, in Abruzzo. Sin da giovane, si distinse per un talento artistico che avrebbe plasmato il suo futuro. Crescendo in un ambiente ricco di cultura e tradizioni, le sue esperienze formative nella sua città natale giocarono un ruolo cruciale nell’alimentare la sua passione per l’arte. A Penne, Colangelo ebbe l’opportunità di immergersi in un contesto storico affascinante, che comprendeva numerosi artisti e artigiani, la cui influenza si rifletté nei suoi lavori successivi. Con l’intento di affinare il suo talento, Angelo Colangelo si trasferì a Firenze, dove intraprese gli studi presso l’Istituto d’Arte. Qui, fu esposto a un ambiente vibrante, caratterizzato da una ricca eredità artistica. L’Istituto fornì una solida base di conoscenze pratiche e teoriche, permettendo a Colangelo di esplorare diverse tecniche e stili. La città stessa, con le sue meraviglie architettoniche e i suoi capolavori rinascimentali, non poté che ispirarlo ulteriormente. Successivamente, continuò il suo percorso all’Accademia di Belle Arti, dove le sue abilità vennero ulteriormente perfezionate, e questo passaggio rappresentò un momento cruciale nella sua evoluzione artistica. Durante questo periodo di formazione, Angelo Colangelo non solo sviluppò competenze tecniche ma anche una profonda comprensione delle dinamiche artistiche e culturali dell’epoca. Le esperienze vissute e le influenze apprese durante la sua infanzia e i primi anni di formazione contribuirono a forgiare la sua identità artistica. Le basi solide costruite a Penne e a Firenze lo avrebbero preparato per intraprendere una carriera straordinaria, caratterizzata da opere che avrebbero lasciato un’impronta duratura nel panorama artistico contemporaneo. L’Esperienza negli Stati Uniti e l’Influenza del New Bauhaus Tra il 1952 e il 1957, Angelo Colangelo si trasferì negli Stati Uniti, un periodo determinante per la sua formazione artistica e professionale. Questa esperienza si rivelò fondamentale, non solo per il suo sviluppo personale, ma anche per la sua capacità di contribuire al panorama artistico americano. Durante la sua permanenza, Colangelo assunse un ruolo significativo nel corpo docente dell’Università di Washington, dove insegnò principi di design ispirati al New Bauhaus. La filosofia di questa corrente, focalizzata sulla fusione tra arte e funzionalità, influenzò profondamente il suo approccio estetico. Colangelo trarrà ispirazione dagli scritti di critici e teorici come Keepes, che analizzarono il panorama artistico contemporaneo e promuoveranno un dialogo tra le diverse forme espressive. Inoltre, la conoscenza delle opere di artisti di spicco quali Jackson Pollock e Alexander Calder ampliò il suo orizzonte creativo, permettendogli di esplorare nuove tecniche e di adottare una visione più astratta nel suo lavoro. Questo scambio culturale e artistico si rivelò cruciale, poiché egli poté confrontarsi con approcci innovativi che stavano ridefinendo i confini dell’arte contemporanea. In aggiunta, il mondo della musica influenzò significativamente Colangelo. La musica di John Cage, con il suo approccio non convenzionale e l’uso del silenzio e del rumore, stimolò Colangelo a rompere le barriere tradizionali della creatività. La fusione di queste esperienze culturali e artistiche negli Stati Uniti contribuì non solo a modellare il suo stile ma a rafforzare la sua identità artistica. È evidente come questi anni abbiano lasciato una traccia indelebile sul percorso di Colangelo, segnando un’epoca di sperimentazione e apprendimento, che influenzò il suo lavoro e la sua visione per il futuro. Ritorno in Italia e Le Esposizioni Il ritorno di Angelo Colangelo in Italia segna un capitolo cruciale nella sua carriera artistica. Una volta tornato nel suo paese natale, Colangelo è stato accolto calorosamente dalla scena artistica fiorentina, che lo ha visto partecipare a significative esposizioni. Tra queste, la sua collaborazione con la Galleria Numero a Firenze ha rappresentato un’importante pietra miliare. La galleria, rinomata per la sua capacità di presentare artisti emergenti e influenti, ha fornito a Colangelo una piattaforma per esporre le sue opere e per interagire con un pubblico interessato e appassionato. Le esposizioni di Colangelo non si sono limitate a Firenze; uno dei momenti salienti della sua carriera è stata la mostra a Palazzo Strozzi, dove le sue opere sono state messe in risalto accanto a quelle di altri artisti prestigiosi. Palazzo Strozzi, con la sua ricca storia e posizione centrale, ha offerto una cornice ideale per la promozione della sua arte. È qui che Colangelo ha potuto esibire la sua abilità unica nel disegno, i cui esemplari hanno attirato l’attenzione del Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi, famoso per collezioni di alta qualità. L’inclusione dei suoi disegni in questa prestigiosa istituzione ha conferito a Colangelo un riconoscimento significativo, elevando il suo status nella comunità artistica. Inoltre, il suo talento e la sua creatività non sono passati inosservati anche all’estero, portandolo a ricevere inviti a eventi di grande rilevanza, come il Salone des Réalités Nouvelles a Parigi e la Biennale d’Arte di Venezia. Queste opportunità hanno ulteriormente consolidato la sua reputazione e gli hanno permesso di stringere legami con altri artisti di spicco a livello internazionale. L’impatto delle sue esposizioni e delle sue partecipazioni a eventi rinomati ha avuto un significato profondo nel rafforzare la sua eredità artistica, rendendolo una figura chiave nel panorama contemporaneo dell’arte italiana. L’Eredità di Angelo Colangelo Angelo Colangelo, figura centrale nell’arte contemporanea italiana, ha avuto una carriera straordinaria che ha segnato profondamente il panorama artistico a partire dagli anni ’80 fino agli anni ’90. Durante questo periodo, il suo lavoro ha subito un’evoluzione decisiva, abbracciando nuovi sviluppi sia formali che concettuali. Colangelo ha saputo catturare l’essenza dei suoi tempi, intersecando tradizione e innovazione. Le sue opere si sono contraddistinte per una profonda introspezione e un forte legame con il contesto socio-culturale. Una delle caratteristiche più significative del lavoro di Colangelo in questo periodo è stata la sua capacità di partecipare attivamente a importanti mostre internazionali. Questi eventi hanno avuto un ruolo cruciale nel proiettare la sua arte a livello mondiale, permettendo una riconoscibilità che ha oltrepassato i confini nazionali. Le sue opere, caratterizzate da una fusione di materiali e tecniche, hanno attirato l’attenzione di critici e collezionisti, consolidando la sua posizione come artista di punta. Il suo approccio innovativo ha contribuito a ridefinire alcune pratiche artistiche, influenzando

Lo storico dell’arte Zimarino al Premio Pescarart 2024 “Storia dell’Arte Contemporanea tra l’Italia e Pescara” Venerdi 27 Dicembre ore 17.30 all’Aurum di Pescara

Chi è Antonio Zimarino? Antonio Zimarino è una figura di spicco nel panorama artistico contemporaneo, caratterizzato da una formazione accademica che riflette un profondo interesse per l’arte e la cultura. La sua laurea in arte bizantina ha fornito a Zimarino una solida base di conoscenze storiche e teoriche, rendendolo un esperto nel settore. Tuttavia, il suo percorso non si è fermato a queste radici; ha successivamente orientato il suo focus verso l’arte contemporanea, esplorando le intersezioni tra passato e presente, tradizione e innovazione. Il suo approccio multidisciplinare rivela un’evidente evoluzione, apportando alla sua carriera non solo la lente dello studioso e del critico, ma anche quella del curatore. Zimarino nutre una forte avversione verso le categorizzazioni rigide che spesso limitano la comprensione dell’arte. La sua visione è quella di superare i confini tradizionali, promuovendo un dialogo aperto e inclusivo tra opere e spettatori. Definendosi come ‘studioso-curioso’, Zimarino incarna l’idea che l’arte debba essere un’esperienza fluida, capace di trascendere etichette e definizioni convenzionali. La sua curiosità lo spinge ad interrogarsi continuamente sulle diverse forme d’arte e sui messaggi che queste veicolano, utilizzando questa curiosità come strumento per coinvolgere il pubblico. Questa filosofia non solo arricchisce il suo lavoro come curatore, ma evidenzia anche l’importanza di un approccio relazionale nell’arte, dove l’interazione e la partecipazione del pubblico diventano elementi fondamentali. Attraverso la sua pratica, Antonio Zimarino si propone di ridefinire le modalità di fruizione dell’arte, rendendola un’esperienza condivisa che va al di là della mera osservazione. in foto: il critico d’arte con l’artista Angelo Colangelo L’Arte come Relazione Sociale Antonio Zimarino propone un’affascinante reinterpretazione del concetto di arte, suggerendo che essa possa essere compresa principalmente come relazione sociale. Questa prospettiva indica un cambiamento fondamentale nella sua definizione, da un oggetto da osservare a un’esperienza da vivere. In questo contesto, l’arte non è più vista come un prodotto finito, immobile su un muro o su un palcoscenico, ma come un fenomeno dinamico che si intreccia con la vita quotidiana delle persone. La proposta di Zimarino si basa sull’idea che l’arte relazionale promuove l’interazione tra le persone, creando spazi di dialogo e confronto. Questo approccio invita a partecipare attivamente, piuttosto che rimanere semplici spettatori. Le opere d’arte, quindi, diventano strumenti attraverso cui non solo si esprime un senso di comunità, ma si generano rapporti significativi tra gli individui. Questo modello di percezione dell’arte incoraggia a considerare l’atto creativo come un processo condiviso piuttosto che un evento isolato, ampliando notevolmente il suo possibile impatto sociale. Un aspetto fondamentale dell’arte come relazione sociale è la sua capacità di riflettere le dinamiche culturali, le tensioni sociali e le esperienze condivise delle comunità. L’arte, quindi, non è solo un mezzo di espressione personale, ma funge da catalizzatore per il cambiamento sociale. In questo senso, l’approccio di Zimarino sottolinea l’importanza della partecipazione attiva e della costruzione collettiva, contribuendo alla creazione di ambienti in cui l’arte può effettivamente modificare le relazioni umane e favorire un dialogo inclusivo. Il Ruolo dei Luoghi nell’Arte Negli ultimi anni, il panorama dell’arte contemporanea ha subito una trasformazione significativa, in parte grazie all’approccio relazionale promosso da artisti. Tradizionalmente, musei e gallerie sono stati considerati i luoghi privilegiati per la fruizione artistica, spazi dove l’arte veniva presentata in modo statico e isolato. Tuttavia, Zimarino e altri sostenitori dell’arte relazionale stanno spingendo per un cambiamento di paradigma che enfatizza l’importanza del contesto in cui l’arte viene sperimentata. In questo nuovo approccio, i luoghi non sono più semplici contenitori di opere d’arte, ma diventano attori attivi nell’esperienza artistica. I musei e le gallerie si stanno evolvendo in spazi di interazione e partecipazione, dove il pubblico è invitato a essere parte integrante del processo creativo. Questa dinamica stimola un dialogo tra artisti e visitatori, creando opportunità per una collaborazione autentica e per una maggiore comprensione dell’opera d’arte. Inoltre, i luoghi quotidiani, come parchi, piazze e spazi pubblici, stanno acquisendo un nuovo significato nel contesto dell’arte relazionale. Artisti contemporanei cercano di portare l’arte fuori dai confini tradizionali, avvicinando le opere alla vita quotidiana delle persone. Questo non solo rende l’arte più accessibile, ma promuove anche una riflessione sulle relazioni umane e sulla comunità, creando spazi di condivisione e discussione. La trasformazione del ruolo dei luoghi nell’arte invita a riflettere su come gli artisti debbano interagire con le persone, suggerendo che l’arte non è solo un oggetto, ma un’esperienza condivisa che cresce e si evolve attraverso le relazioni e gli ambienti in cui si manifesta. Questo approccio enfatizza la necessità di un ripensamento delle istituzioni artistiche e della loro funzione nella società contemporanea. Situazioni Costruite e Impossibilità del Controllo Il concetto di “situazioni costruite” emerge come un tema cruciale nell’approccio innovativo di artisti contemporanei come Tino Sehgal. Questo termine si riferisce a scenari artistici deliberatamente creati in cui gli spettatori diventano attori e co-creatori, assolvendo a un ruolo attivo nell’arte. In questo contesto, l’artista, pur progettando l’intento dell’opera, non può mai esercitare un controllo totale sull’esperienza che ne deriva. La dimensione relazionale dell’opera genera spazi aperti e interazioni imprevedibili, risultando in una varietà di interpretazioni e significati. Questa imprevedibilità porta a una dinamica in cui gli spettatori si trovano a interagire in modi che sfuggono al controllo dell’artista. Antonio Zimarino riflette su come quest’idea di situazioni costruite arricchisce la nostra comprensione dell’arte contemporanea, portando a una crisi in termini di definizione. Con l’emergere di modalità relazionali, l’arte tradizionale – intesa come un oggetto statico e univoco – viene messa in discussione. Gli artisti sono costretti a confrontarsi con il fatto che le loro opere possono assumere forme e significati inaspettati, creando esperienze artistiche uniche e variabili, transitorie e condivise. Ciò implica che l’interpretazione dell’opera d’arte dipende non solo dall’intento dell’autore, ma anche dal contesto e dall’interpretazione del pubblico. Questa interazione tra l’artista e il suo pubblico si traduce in un’oportunità per esplorare domande fondamentali sull’autenticità, l’autorialità e la soggettività nell’arte. In un mondo dove le esperienze artistiche sono sempre più collettive e collaborative, l’artista perde parte del suo monopolio sulla narrazione, aprendo a infinite possibilità di coinvolgimento e partecipazione. Le

Trascrizione della presentazione del Premio Pescarart 2024 di Gian Ruggero Manzoni sui temi: Inclusività, Globalizzazione, Intelligenza Artificiale

Ho partecipato su certe tematiche, sull’inclusività e l’esclusività, ma il problema che ha sollevato Enrico Manera è importante a mio avviso, è importante perché Marinetti poi aderì alla Repubblica Sociale Italiana, è quello che non viene perdonato per quello, perché molti sono stati gli artisti della prima fase del fascismo fino alla caduta del 25 luglio e poi altri che sono rimasti invece fedeli a quella linea che hanno aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Questo è il nodo della faccenda, ma che rientra nell’inclusività e nell’esclusività, cioè se non vi siete ancora accorti, ma penso che ne siate già accorti dal tempo, perché l’Italia non… si sbaglia da questa guerra civile che è finita nel 1945. L’Italia è spaccata a metà, come uno dice una cosa è un fascista, come uno dice una cosa è un comunista, cioè si va avanti con sempre questa tarantella, ma è finita nel 1945 la tarantella, cioè va bene abbiamo avuto gli anni di piombo, tutto quello che vi pare, però se non si arriva alla pacificazione nazionale e soprattutto ad una memoria condivisa, non facciamo un passo in questo momento, non si fa un passo ed è un momento molto critico, ma non solo per l’Italia, per l’intero pianeta, è molto critico. Io mi sono appuntato tre cose che le butto l’acqua dopo, tirerò il ballo Andrea Viozzi che è un giovane critico molto promettente. Grazie mille. la sua, ma anche gli altri ovviamente. Innanzitutto la mia generazione e la generazione di molti che sono in questa sala ha visto il passaggio di quello che era una società di stampo rurale ad una società di stampo industriale, post-industriale, fino ad arrivare ad oggi tecnologico avanzato. Per cui noi abbiamo avuto negli ultimi 50-60 anni un’accelerazione sconcertante a livello non solo italiano ma mondiale fino ad arrivare a una globalizzazione, ma è una globalizzazione dal punto di vista economico, cioè la finanza che stampa, globalizzando, non la civiltà. Noi occidentali siamo sempre lì. Vogliamo sempre esportare la democrazia, la civiltà, tutte queste storie, ma sono cose queste che nascono dal popolo, nascono dal profondo, non puoi esportarle, sono cose che senti, che vivi eventualmente, ma non puoi esportare, com’è? E’ esportare una dittatura, non ce la fai prima o poi, chi tecnicamente appartiene ad una realtà che non è quella, che si rivela oppure dice no, che vanno bene certi modelli e via discorrendo. Logico, noi occidentali siamo livellati su modelli statunitensi, sappiamo benissimo che l’Italia è una nazione soprana, sappiamo benissimo che quello che si decide, si decide a Washington, adesso hanno delegato gli uomini i cammini a Bruxelles. Vi so che non arriviamo più dall’America, adesso la prima linea è la Turchia. Erdogan si può permettere di dire qualsiasi cosa e fare qualsiasi cosa, perché quella è la prima linea. Di là ci sono i nemici, ci sono i leoni, e di conseguenza noi siamo nelle retrovie, per cui siamo qui in Italia di tutta una situazione. Questo è legato strettamente al problema legato alla cultura, alla tradizione, all’identità, e via discorrendo. La globalizzazione ci sta privando di tutto questo, perché è l’inclusività dell’esclusività. Io ho citato Proust nel mio pezzo, Proust diceva che il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori. Ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo… gli occhi di un altro, di centinaia d’altri, di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è. Per cui il discorso si amplia molto. Cioè, dovrebbe essere un incontro di culture, la globalizzazione, un incontro di conoscenze, un incontro di sapere e invece si traffica con la Coca-Cola, si traffica con le armi, si traffica con i McDonald’s, si traffica con sta roba qua. In più cosa c’è? Oltre a questo passaggio al vocale velocissimo, si sta incuneando in tutta questa faccenda una cosiddetta intelligenza artificiale. Intelligenza artificiale che è un punto interrogativo non da poco. Intelligenza artificiale… Siamo partiti con gli smartphone e gli Iphone, a cui tutti guardano, molti anche qui in sala ci stanno guardando mentre uno parla, ti ritrovi seduto in pizzeria con gli amici, l’amico seduto al tuo posto a tavola e ci si messaggia a tavola l’uno con l’altro. Allora, se la macchina, se la tecnologia è al servizio dell’uomo, è strumento, benissimo !, il pericolo è che la macchina diventi cultura. Allora, se la macchina ti aiuta a fare cultura, bene!, ma se la macchina diventa cultura, diventa la cultura della macchina, non più la cultura dell’uomo. E tanto è meno, io come Gian Ruggero… Io come Gian Ruggero Manzoni non mi sento di affidare ad una macchina la decisione se far partire diversi con un tasto nucleare o no c’è il problema in questo a vari livelli o ovvio che ho portato in tutto il limite, questa cosa tocca direttamente l’arte quello che è legato all’identità la tradizione di un storia rischia di essere spazzato via, poi rischiamo di spazzare via tantissime cose cioè mi ricordate cosa hanno fatto quelli dell’Isis ai buddha in Afghanistan io posso anche pensare che arrivi uno un certo giorno di qui a 20 30 anni non so quando che dice vabbè la cappella si ispira no va bene così gli ha una mano di bianco perché dio non va rappresentato, sono i più c’è neanche 13, monoteiste sia le prete, gli arabi, Dio non va rappresentato, sono noi cristiani, solo noi crediamo in un Dio che si è umanizzato e questo è molto interessante tutto questo recente. Già da questo potrete pensare che penserete quello che io ho in mente, cioè non voglio fare il luttista della situazione di sfruggiamo tutte le macchine, ma siamo molto attenti a tutto questo, a parte che tramite le macchine che abbiamo siamo tutti, non avremo il microchip che voleva mettere Musk, il nuovo presidente degli Stati Uniti, non è Trump, è lui, non avremo il microchip ma l’abbiamo in tasti il microchip, io non ce l’ho, ma il phone e lo